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Adempimenti - Gli adempimenti camerali



requisiti DM 37/08

Mi sono rivolto alla camera di commercio di Trieste con l'intenzione di registrare un'impresa ed ottenere l'abilitazione all'esercizio delle attività previste all'art. 1 del DM 34/08 specificatamente per gli impianti previsti ai punti c), d), e) (riscaldamento, idrici e gas).
Credevo di possedere ampiamente i requisiti previsti dall'art. 4: sono in possesso di un diploma congruente (perito metalmeccanico) con le tipologie di impianti per cui chiedo l'abilitazione e godo di più di vent'anni di attività nel campo impiantistico. Con molto stupore mi sono visto rifiutare (parzialmente) il riconoscimento dei requisiti tecnico – professionali. Credo che quanto mi sia accaduto possa essere istruttivo per quanti si pongono ancora dubbi sul possesso o meno di tali requisiti.

Nel mio caso specifico l'ostacolo maggiore è stato quello che, come dipendente, ho sempre svolto attività di impiegato tecnico e non di operaio specializzato e, benché specificatamente per gli impianti di tipo c) (riscaldamento ecc.), potessi vantare qualche anno di attività di progettazione, la mia esperienza sul campo di tipo esecutivo era limitata a funzioni proprie della direzione lavori. Troppo poco, ciò di cui manco, a giudizio del funzionario della Camera di Commercio a cui mi sono rivolto, è proprio l'esperienza pratica propria dell'operaio specializzato. E' immediata l'osservazione di quale possa essere l'esperienza pratica di un neo ingegnere e perché l'esperienza pratica sia considerata tanto più importante rispetto quella teorica maturata lavorando come ad esempio la conoscenza nell'applicazione pratica delle normative tecniche di riferimento, della conoscenza delle questioni amministrative finalizzate all'ottenimento delle necessarie autorizzazioni, DIA, VVFF, ecc., della conoscenza delle questioni di sicurezza nei cantieri, ecc. Tali conoscenze non sono patrimonio né del neo laureato né dell'operaio con pluriennale esperienza, che sia o non sia in possesso di un diploma, ma possono essere acquisite proprio operando come tecnico alle dipendenze di un'impresa che esegua quelle tipologie di impianti.
La questione fra l'altro si tinge di ridicolo perché avendo io svolto un'attività di tipo artigianale per 20 mesi consecutivi nel periodo 1982 – 1983 cioè più di 25 anni fa, con oggetto l'esecuzione di impianti idrico sanitari in genere ed impianti elettrici in genere, mi è stato detto che potrei ottenere il riconoscimento per l'attività prevista al punto a) (impianti elettrici) anche se in questi 25 anni io non mi fossi mai occupato di impianti elettrici.
Deve essere chiaro che questa non è né una critica alla Camera di Commercio né al funzionario con cui ho parlato il quale ha cercato di fare il possibile per venire incontro alle mie richieste ma sempre nel rispetto della legge. Come ben è spiegato sul documento del Vunturi,
( www.tuttocamere.it/files/camcom/Impianti_Nuova_Normativa.pdf ) la prerogativa di ottenere il riconoscimento dei requisiti per un'attività svolta in epoca precedente all'emanazione della 46/90 deriva dall'art.6 della legge 25/96.
Comunque la questione è abbastanza complessa e purtroppo in internet non sono riuscito a trovare una documentazione esaustiva che spieghi l'argomento. Il documento curato dal dott. Claudio Venturi “L'attività di impiantistica dopo l'entrata in vigore del D.M. N. 37/2008” è molto ben fatto ed è il più esaustivo che sia riuscito a trovare sul D.M. 37/08 ma purtroppo neppure questo affronta in modo approfondito la questione del riconoscimento dei requisiti.
Il DM 37, nel caso dei diplomati, prevede che al periodo di studio segua un periodo di inserimento, di almeno due anni consecutivi, alle dirette dipendenze di un'impresa del settore.
La verifica dei requisiti è funzione sia della tipologia di attività svolta sia il concetto di 'impresa del settore'.
Sicuramente è del settore un’impresa già abilitata all’esecuzione degli impianti per cui si richiede il riconoscimento dei requisiti tecnico professionali ma un’impresa che svolge quelle determinate tipologie di impianti al di fuori dell’ambito del DM 37/08, può ancora ritenersi un’impresa del settore?
Un caso pratico: l’attività svolta nel campo degli impianti gas e degli impianti idrici presso un’azienda di public utility (le ex municipalizzate) che, come noto opera all’esterno degli edifici, può ritenersi qualificante al fine del riconoscimento dei requisiti tecnico professionali?
Dalle risposte ottenute presso la Camera di Commercio di Trieste si comprende che ciò che più conta è la tipologia di attività svolta presso quell’impresa ed implicitamente quindi la risposta dovrebbe essere affermativa ma con qualche riserva.
C'è da chiedersi se il DM 37/2008 porterà un qualche miglioramento nella preparazione tecnica delle ditte che operano nel campo impiantistico.
Che un provvedimento inteso ad innalzare la preparazione tecnica delle imprese del settore fosse necessario è fuor di dubbio. Per la mia esperienza personale, per gli anni passati ad effettuare verifiche sugli impianti termici e gas installati, non posso che concordare sulla necessità di un tale provvedimento. Le ditte del settore sono mediamente ditte artigiane, spesso costituite dal solo titolare oppure comunque con pochi dipendenti. Spesso chi opera sono persone di pluriannale esperienza ma con scarse conoscenze della normativa sempre più articolata che è entrata in vigore negli ultimi anni. L'evoluzione delle normative UNI e CEI nei specifici campi è stata notevole. Queste ditte, di ridotte dimensioni, non dispongono di uffici tecnici e quindi la loro capacità tecnico operativa è molto al di sotto di quella riscontrabile in imprese strutturate che operano nel settore industriale.
Questa innegabile considerazione dovrebbe far rientrare, tra le cosiddette imprese del settore, al fine dell'ottenimento dei requisiti previsti, non solamente quelle già abilitate all'esecuzione degli impianti di competenza del DM 37/08 ma anche tutte quelle imprese, maggiormente strutturate, che operano in campi analoghi dal punto di vista tecnico. Considerato che proprio la preparazione teorica è quella più scadente c'è da chiedersi perché l'esperienza maturata in qualità di operaio specializzato è da ritenersi qualificante e non altrettanto quella di impiegato tecnico.
Di fatti, per la tipologia tipologia dell'attività svolta, nulla vieta che all’interno di un’impresa del settore ci sia uno studio tecnico con personale iscritto all’albo ed abilitato alla progettazione. L’esperienza maturata come impiegato tecnico presso uno studio interno può ancora essere considerata qualificante ai fini del riconoscimento dei requisiti oppure il ‘livello di inquadramento deve essere quello di operaio specializzato? Certo che, se la risposta fosse affermativa, per analogia anche l’attività di progettazione maturata presso un qualunque studio di progettazione dovrebbe ritenersi altrettanto qualificante e difatti, su tale argomento, le risposte ottenute presso la Camera di Commercio di Trieste sono negative, da cui la richiesta di aver svolto un'attività di tipo esecutivo.
Dall'esperienza descritta si comprende che la griglia delle condizioni e delle qualifiche per cui è possibile ottenere il riconoscimento dei requisiti è complessa.
Da un lato ci sono esigenze pratiche che impongono ad un'impresa che opera nel campo degli impianti termici di poter operare anche in settori affini come quello degli impianti gas ed idrici ed essere quindi in grado di presentare al cliente un'offerta completa che vada dall'installazione, modifica ed ampliamento alla manutenzione dell'impianto realizzato, dall'altra c'è una norma di difficile applicazione che potrebbe ad esempio abilitare l'impresa all'esecuzione degli impianti idrici, per quanto riguarda gli impianti di riscaldamento alla sola manutenzione e non abilitarla all'esecuzione degli impianti gas ponendo l'impresa nell'impossibilità pratica di operare e quindi nella necessità di assumere un tecnico che goda dei requisiti necessari.
C'è da chiedersi se tale tecnico sia reperibile sul mercato, certamente sul mercato esistono gli ingegneri, però con i relativi costi e, considerando che sul mercato attualmente ci sono una gran quantità di imprese con scarse conoscenze ma abilitate perché preesistenti, tale possibilità è solo teorica in quanto i maggiori costi porrebbero immediatamente l'impresa fuori mercato, a meno che qualcuno non abbia qualche parente in pensione disposto, in virtù del rapporto di parentela, a collaborare con il proprio titolo all'impresa. Un diplomato credo sia anche di difficile reperimento sul mercato, la mia personale esperienza è significativa, di diplomati ce ne sono tanti ma che abbiano maturato l'esperienza richiesta ed in un'impresa del settore abilitata a tutti gli impianti necessari credo proprio ce ne siano ben pochi. Un operaio forse è di più facile reperimento sul mercato, un operaio che abbia maturato i tre anni in qualità di specializzato forse avrà il suo costo ma, considerato che tale figura professionale di fatto è immediatamente operativa, a differenza di un ingegnere neolaureato a cui bisognerebbe appena insegnarli il mestiere, forse economicamente è la via migliore per raggiungere il risultato.
Saluti a tutti i lettori






Il problema è risaputo ahimè... a mio modesto avviso, il legislatore ha privilegiato l'esperienza, diciamo così, sul campo rispetto a quella tecnica, anche se mi rendo conto che questo vada in contraddizione con la possibilità di vedersi riconosciuti i requisiti con la "sola" laurea. D'altra parte, immaginiamo una persona che abbia lavorato come operaio in ditta del settore senza arrivare a conseguire le abilitazioni; se venisse a mancare la possibilità, seppur economicamente svantaggiosa, di associarsi ad una persona laureata per "terminare" il periodo necessario al riconoscimento, ci si ritroverebbe ad un punto morto dove chi possiede i requisiti continua per la propria strada, e chi non li ha rimane fermo o quasi, a meno di trovare lo zio di turno in pensione. Fatti i conti mi pare che la norma abbia trovato un certo equilibrio tra richi e benefici, resta il dubbio, questo sì, di come vigilare per evitare che qualche furbetto si possa vendere a più imprese come responsabile tecnico e come verificare se nelle posizioni già esistenti a monte del dm 37/08 esistano casi di questo tipo.






Grazie per aver voluto intervenire sull'argomento,
ho cercato un pochino qua e là in rete per vedere se tale argomento fosse dibattuto o meno ma senza risultati tangibili anzi, credo proprio che la questione non sia affatto dibattuta. Ciascuna Camera è responsabile del procedimento di verifica dei requisiti e mi piacerebbe sapere se ci sono delle norme o degli indirizzi di valutazione validi su tutto il territorio nazionale o se ci possono essere delle differenze significative da Camera a Camera. Inoltre ho trovato notizie che fanno supporre a breve una rivisitazione sostanziale del DM37. Qualcuno ha notizie in merito?






il dm 37/08, per molti motivi, ha spiazzato sia gli addetti ai lavori, sia i "poveri" imprenditori, vuoi perchè è entrato in vigore senza i soliti 6 mesi di "sperimentazione", vuoi perchè è un testo che lascia molto spazio all'interpretazione. Il problema è che chi di dovere non sembra abbia dato linee guida illuminanti e quindi molte cciaa hanno cercato di far propria la norma con inevitabili sfumature.
Basta prendere ad esempio i termini per la regolarizzazione dei responsabili tecnici che lavoravano per più di un'impresa: alcune camere hanno preteso una regolarizzazione immediata, altre hanno concesso termini più elastici, altre ancora hanno valutato i singoli casi.
Per quanto riguarda la rivisitazione non ci credo molto, ritornare sui propri passi su una norma così recente significherebbe una sconfitta per chi l'ha redatta, ed un ulteriore caos, forse ancora peggiore di quello causato dall'entrata in vigore, per chi deve rispettarla; temo la solita trafila delle circolari del "si precisa che..." "resta fermo che..." ecc. ecc.




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