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SEMPLIFICAZIONE AMMINISTRATIVA - GIURISPRUDENZA





GIURISPRUDENZA

SANZIONI AMMINISTRATIVE. IL TERMINE PER L'EMISSIONE DELL'ORDINANZA-INGIUNZIONE

Ancora una volta la Suprema Corte di Cassazione torna ad occuparsi della questione relativa alla durata del procedimento amministrativo volto all’adozione dell’ordinanza-ingiunzione irrogativa di una sanzione amministrativa disciplinato dalla legge 24 novembre 1981 n. 689.
Ad intervenire sull’argomento questa volta sono state le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione che, con la Sentenza 27 aprile 2006, n. 9591, hanno composto il contrasto giurisprudenziale formatosi in ordine all’applicabilità o meno del breve termine di trenta giorni di cui all’art. 2 della L. n. 241/1990 (ora novanta giorni, per come previsto dalla norma modificata dall’art. 36 bis D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito con L. 14 maggio 2005, n. 80) ai fini dell’esaurimento del procedimento amministrativo per l’emissione dell’ordinanza-ingiunzione.

Si riporta il testo della Sentenza:
. Cassazione - Sezioni Unite Civili - Sentenza 27 aprile 2006, n. 9591: Sanzioni amministrative. Il termine per l'emissione dell'ordinanza-ingiunzione.


IL TERMINE INDEROGABILE DEL SILENZIO-ASSENSO

Il Comune non può negare l'autorizzazione quando è ormai scaduto il termine che ha consentito il formarsi del silenzio assenso. Può soltanto agire in autotutela.
In tal senso si è espresso il Consiglio di Stato, Sezione V, con la Sentenza n. 1339 del 20 marzo 2007.
La sentenza di primo grado aveva ritenuto legittimo il provvedimento di diniego all’esercizio di una determinata attività, in quanto il provvedimento tacito non poteva ritenersi venuto in essere in mancanza di tutti i requisiti soggettivi ed oggettivi per l’accoglimento dell’istanza.
Diversa è l'opinione del Consiglio di Stato che ha riformato la sentenza accogliendo la tesi dell'appellante secondo cui il silenzio assenso, una volta formatosi può essere oggetto di interventi amministrativi in via di autotutela, ma, in mancanza dei detti interventi, non può ritenersi inesistente o disapplicato per ragioni attinenti al difetto di condizioni per lo svolgimento della specifica attività.
Tale interpretazione, sottolinea il Consiglio di Stato, è ora avvalorata dall’art. 20 della legge n. 241 del 1990, così come riformulato dall’art. 3, comma 6-ter, del D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, nella legge 14 maggio 2005 n. 80.
Il comma 3 del citato art. 20 esplicitamente accoglie ora il principio secondo cui il silenzio assenso, formatosi per decorso del tempo prescritto dall’inoltro dell’istanza, non può essere considerato dall’amministrazione tamquam non esset, ma può formare oggetto di provvedimenti caducatori in via di autotutela.

Si riporta il testo della Sentenza:
. Consiglio di Stato - Sezione V - Sentenza n. 1339 del 20 marzo 2007.


AUTOCERTIFICAZIONE – ALLEGAZIONE DELLA FOTOCOPIA DEL DOCUMENTO DI IDENTITA’ - ELEMENTO IMPRESCINDIBILE

Spesso ci si chiede: cosa accade se ad una istanza o ad una autocertificazione di atto di notorietà non viene allegata la fotocopia del documento di identità del dichiarante? Si è in presenza di una dichiarazione solo affetta da irregolarità, sanabile con una successiva attività di integrazione da parte del dichiarante, o di una causa di invalidità radicale tale da comportare la totale inefficacia della dichiarazione stessa?

Due sono gli indirizzi che si sono formati.
Secondo un primo indirizzo, la produzione del documento di identità non costituisce parte integrante della dichiarazione sostitutiva.
La copia di un documento di identità garantisce l'imputazione della dichiarazione al dichiarante nedesimo, con totale indifferenza di effetti nei riguardi del merito delle attestazioni enunciate. Dunque è sempre possibile una successiva regolarizzazione diretta a sopperire una eventuale carenza dell'allegazione documentale (TAR Molise n. 499/03; TAR Puglia n. 4350/03; TAR Lazio n. 5578/02).

Un secondo indirizzo, diametralmente opposto, sostiene, invece, che la produzione del documento di identità del dichiarante si configura quale elemento costitutivo dell'autocertificazione, essendo requisito formale ad substantiam dell'autocertificazione stessa (TAR Umbria n. 212/04; TAR Valle d'Aosta n. 29/04; TAR Piemonte n. 1585/02; TAR Campania n. 8809/04; TAR Sardegna n. 1263/01).

Una recente Sentenza del TAR Campania (Sezione VIII, n. 4974/07, depositata l’ 11 maggio 2007), si inserisce nell’orientamento giurisprudenziale prevalente sostenendo che la produzione in fotocopia del documento di identità costituisce elemento costitutivo imprescindibile dell’autocertificazione.
L’allegazione di un valido documento di identità al testo della dichiarazione sostitutiva, lungi dal costituire un vuoto formalismo, costituisce piuttosto un fondamentale onere del sottoscrittore, configurandosi - nella previsione dell’articolo 38, comma 3, del D.P.R. n. 445/2000 - come l’elemento della fattispecie normativa, teleologicamente diretto a comprovare, non tanto e non soltanto le generalità del dichiarante, ma ancor prima l’imprescindibile nesso di imputabilità soggettiva della dichiarazione ad una determinata persona fisica.

Si riporta il testo della Sentenza:
. TAR CAMPANIA – Sezione Ottava – Sentenza n. 4974/07, depositata l’ 11 maggio 2007.


PREAVVISO DI RIGETTO - NO ALL'APPLICAZIONE RIGOROSA DELL'ART. 10-BIS DELLA LEGGE N. 241/1990

Il T.A.R. della Toscana (Sentenza 2 luglio 2007, n. 1013) ha affermato che l’art. 10-bis della legge n. 241/90, introdotto dalla legge n. 15 del 2005, non deve essere applicato in maniera rigorosamente produttiva di illegittimità del provvedimento ogni qual volta esso risulti violato.
Il T.A.R. Toscana, conseguentemente, ritiene che debba rifiutarsi una rigorosa applicazione dell’art. 10-bis L. 241/90 - peraltro ben lontana dal principio di economicità del procedimento amministrativo - dovendosi, piuttosto, ritenere che il provvedimento di rigetto dell’istanza non preceduto dal preavviso non comporta l’illegittimità del provvedimento finale nelle fattispecie in cui le motivazioni ostative siano state diffusamente esposte dal provvedimento finale e, soprattutto, la parte ricorrente non dimostri la loro illegittimità.
Infatti, se è vero - come del resto emerge dalla relazione al disegno di legge (CD, n. 3890) - che la disposizione tende a limitare il contenzioso tra cittadino e pubblica amministrazione deve, però, anche prendersi atto che la finalità collaborativa della disposizione trova sua ragione, e nel contempo si esaurisce, nello stesso termine di conclusione del procedimento.
Sicché, la eventuale sentenza di annullamento per violazione dell’art. 10-bis non precluderebbe all’Amministrazione di rinnovare la medesima determinazione adempiendo al dettato della norma, cioè indicando nuovamente le medesime ragioni già adottate col provvedimento annullato.
In conclusione, il T.A.R., nel caso di specie, sancisce che il motivo di violazione dell’art. 10-bis, non conducendo ad alcuna utilità sostanziale, non è assistito da un interesse sostanziale risultando, pertanto, inammissibile.

Si riporta il testo della Sentenza:
. TAR TOSCANA – Sezione Terza – Sentenza n. 1013 del 2 luglio 2007 - Procedimento amministrativo – Preavviso di rigetto – Interpretazione rigorosa – Illegittimità.


ART. 10-BIS DELLA LEGGE N. 241/1990 – INAPPLICABILITA’ ALLA D.I.A.

La D.I.A. non è uno strumento di liberalizzazione dell'attività, ma rappresenta una semplificazione procedimentale che consente al privato di conseguire un titolo abilitativo, sub specie dall'autorizzazione implicita di natura provvedimentale (favorevole), a seguito del decorso di un termine (30 giorni) della presentazione della denunzia.
Nel caso della D.I.A., con il decorso del termine si forma una sorta di autoamministrazione, secondo alcuni, di autorizzazione implicita (positiva) di natura provvedimentale per altra ricostruzione, che può essere succeduta da ordine (negativo) di non iniziare i lavori o può essere contestata dal terzo.
L'istituto del preavviso di rigetto trova applicazione solo nell'ipotesi di adozione di un provvedimento negativo sull'istanza (di provvedimento positivo) presentata dal privato e non nel caso di presentazione di denunzia di inizio di attività e successivo ordine o diffida a non iniziare i lavori.
È inapplicabile alla D.I.A. (di cui al D.P.R. n. 380 del 2001) l'art. 10 bis, legge n. 241 del 1990, atteso che la D.I.A. è provvedimento (implicito) di tipo favorevole al privato, mentre è negativo (ma non è a rigore un rigetto della istanza) il successivo atto di diffida a non agire; inoltre, il preavviso per l’ordine di non eseguire costituirebbe una non giustificata duplicazione del medesimo, incompatibile con il termine ristretto entro il quale l'amministrazione deve provvedere, non essendo fra l'altro previste parentesi procedimentali produttive di sospensione del termine stesso.

Si riporta il testo della Sentenza:
. CONSIGLIO DI STATO – Sezione Quarta – Sentenza n. 4828 del 12 settembre 2007 - Denuncia di inizio attività – Inapplicabilità dell’art. 10-bis della legge n. 241/1990.


NATURA GIURIDICA DELLA D.I.A. - PRONUNCIA DEL TAR EMILIA ROMAGNA

La D.I.A. non è uno strumento di liberalizzazione dell’attività ma rappresenta una semplificazione procedimentale, che consente al privato di conseguire un titolo abilitativo a seguito del decorso di un termine (30 giorni) dalla presentazione della denuncia.
Nel caso della D.I.A., pertanto, con il decorso del termine si forma una autorizzazione implicita di natura provvedimentale, che può essere contestata dal terzo entro l’ordinario termine di decadenza di 60 giorni, decorrenti dalla comunicazione al terzo del perfezionamento della D.I.A. o dall’avvenuta conoscenza del consenso (implicito) all’intervento oggetto di D.I.A.

Si riporta il testo della Sentenza:
. TAR EMILIA ROMAGNA – Sezione Seconda – Sentenza n. 2253 del 2 ottobre 2007 - Natura giuridica della D.I.A. - Procedimento amministrativo - Decorrenza del termine di 30 gg. dalla presentazione – Effetti.


CIRCOLARI AGENZIA DELLE ENTRATE – NON VINCOLANTI E DUNQUE NON IMPUGNABILI

La circolare, con la quale l'agenzia delle Entrate effettua l'interpretazione di una norma tributaria, esprime esclusivamente un parere dell'Amministrazione, non vincolante né per il contribuente, che resta pienamente libero di non adottare un comportamento a essa uniforme, né per gli uffici gerarchicamente subordinati, non essendo loro vietato disattenderla, né per la medesima autorità, che l'ha emanata, la quale resta libera di modificare, correggere e anche disattendere l'interpretazione adottata.
Per tali ragioni, il documento non può essere impugnato né di fronte al giudice amministrativo, non essendo un atto generale di imposizione, né innanzi al giudice tributario, non essendo atto di esercizio di potestà impositiva.
E' quanto affermato dalle Sezioni unite della Cassazione, con la Sentenza n. 23031 del 2 novembre 2007.

Si riporta il testo della Sentenza:
. Cassazione - Sezioni Unite Civili - Sentenza 9 ottobre – 2 novembre 2007, n. 23031 - Circolari dell’Agenzia delle Entrate – Natura giuridica – Non vincolatività – Norma interna – Inoppugnabilità.


I LIMITI DELLE CIRCOLARI AMMINISTRATIVE – INTERVENTO DEL CONSIGLIO DI STATO

Le circolari amministrative non possono determinare degli effetti nei confronti di soggetti estranei all'amministrazione e non possono quindi fissare dei termini perentori per essi.
Così ha stabilito il Consiglio di Stato, Sezione V, Sentenza n. 4524 del 19 settembre 2008, che ha ribadito con nuove argomentazioni i limiti dell'efficacia delle circolari amministrative.
Il caso riguardava un provvedimento di cancellazione dal registro regionale di una associazione di volontariato, che non aveva rispettato una circolare regionale che prevedeva - pena la cancellazione - dei termini perentori per l'invio della documentazione.
I giudici hanno annullato questo provvedimento, per le seguenti puntuali ragioni:
a) l'amministrazione ha illegittimamente introdotto una nuova ipotesi di cancellazione dal Registro regionale, non prevista da alcuna norma di rango legislativo" regolamentare, statale o regionale;
b) la circolare non ha alcuna idoneità a stabilire degli effetti nei confronti dì soggetti estranei all'amministrazione, e l'associazione interessata non aveva alcun onere dì proporre una specifica impugnazione contro di essa
.

Si riporta il testo della Sentenza:
. Consiglio di Stato – Sezione Quinta - Sentenza 19 settembre 2008, n. 4524: Circolari amministrative – Non idonee a determinare effetti nei confronti dei soggetti estranei all’amministrazione.


DIA – VERIFICA DEI REQUISITI PRESCRITTI DALLA LEGGE DA PARTE DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

La DIA - quale modalità di semplificazione procedimentale che consente al privato di conseguire un titolo abilitativo implicito - deve ritenersi un procedimento ad istanza di parte, basato su una autocertificazione del privato stesso, in merito alla quale la Pubblica Amministrazione effettua un'attività di controllo sia in ordine alla pertinenza e completezza della documentazione, sia, per quanto riguarda più specificamente le attestazioni di professionisti abilitati, in ordine all'effettiva sussistenza delle condizioni stabilite per l'esercizio di siffatta facoltà di denuncia.
A fronte della presentazione della DIA, pertanto, incombe sull'Amministrazione Comunale l'obbligo di procedere alla verifica, in capo al dichiarante, dei requisiti richiesti dalla legge per la realizzazione dell'intervento.

Si riporta il testo della Sentenza:
. Consiglio di Stato – Sezione Quarta - Sentenza 24 maggio 2010, n. 3263: DIA – Spetta alla Pubblica Amministrazione verificare la sussistenza dei requisiti prescritti dalla legge.


L'ufficiale dell'anagrafe del Comune non può autenticare firme su atti di natura negoziale – Intervento della Corte di Cassazione

Non potendosi ricavare dal sistema normativo vigente un potere dell’incaricato comunale di autenticare la firma degli atti negoziali, è nulla la procura speciale alle liti conferita con una scrittura privata con firma autenticata dall’ufficiale dell’anagrafe del Comune.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, Sezione III Civile, con la sentenza n. 19966/2013 depositata il 30 agosto 2013.
Secondo la Suprema Corte infatti vi è “un sistema normativo nel quale il potere di autenticazione del dipendente addetto dell’ufficio comunale non è generalizzato, ma è di volta in volta individuato dal legislatore”.
Nella sentenza viene ricordato che il T.U. in materia di documentazione amministrativa (D.P.R. n. 445/2000), finalizzato alla semplificazione delle procedure: da un lato, non ha previsto l’autentica di firma per le istanze presentate alla Pubblica Amministrazione o ai Gestori di pubblici servizi (art. 21, comma 1 e art. 38, comma 3); dall’altro, ha previsto l’autenticazione, anche da parte del «dipendente addetto a ricevere la documentazione o altro dipendente incaricato dal Sindaco», per le istanze presentate agli organi della Pubblica Amministrazione o ai Gestori di pubblici servizi al fine della riscossione da parte di terzi di benefici economici, nonché per le istanze presentate a soggetti diversi (art. art. 21, comma 2)”.
Inoltre, prosegue la sentenza, non mancano nella legislazione statale casi in cui è specificamente conferita, al dipendente addetto dell’ufficio comunale, il potere di autenticazione di determinati atti (viene citato, a titolo esemplificativo, l'art. 14 della L. n. 53 del 1990, in materia elettorale e l'art. 31 della L. n. 184 del 1983, in materia di adozione).

Si riporta il testo della Sentenza:
. Corte de Cassazione - Sezione III Civile - Sentenza 11 giugno - 30 agosto 2013, n. 19966/2013.

Algoritmi in ambito amministrativo, il Consiglio di Stato delinea i limiti

E’ legittimo adottare un algoritmo per lo svolgimento di un’attività amministrativa?
Entro quali limiti possano essere adottate delle procedure automatizzate in ambito amministrativo?


Sul tema si è pronunciata la Sezione VI del Consiglio di Stato con la sentenza n. 8472/2019 del 13 dicembre 2019, che ritorna su una tematica molto delicata e molto dibattuta sia in ambito dottrinario che giurisprudenziale.
In particolare si tratta di dover definire la rilevanza degli algoritmi nell’ambito di un procedimento amministrativo e più nello specifico di valutare la legittimità dell’adozione di un algoritmo per lo svolgimento di un’attività amministrativa.

Il caso di specie riguarda l’adozione in ambito scolastico di un piano straordinario assunzionale di cui alla L. n. 107/2015 demandato ad un algoritmo per effetto del quale sono stati operati i trasferimenti e le assegnazioni.
Contro la decisione del TAR che aveva sostenuto l’illegittimità di tale procedura evidenziando che i relativi trasferimenti ed assegnazioni erano state effettuati in evidente contrasto con il fondamentale principio della strumentalità del ricorso all’informatica nelle procedure amministrative, è intervenuto un ricorso del Ministero dell’Istruzione - Ufficio Scolastico Regionale per la Calabria a seguito del quale si è pronunciato il Consiglio di Stato con la sentenza in questione che conferma la decisione del TAR sebbene con motivazioni diverse.

Il Consiglio di Stato nel giustificare la propria decisione esamina con particolare attenzione la problematica sottolineando entro quali limiti possano essere adottate delle procedure automatizzate in ambito amministrativo. Innanzitutto l’organo giurisdizionale precisa che non è certo in gioco l’utilizzo di strumenti digitali nel corso di attività amministrative che anzi è auspicato da normative importanti come l’attuale Codice dell’Amministrazione Digitale.
Grazie all’uso di tali strumenti lo stesso procedimento di formazione della decisione amministrativa può essere affidato a un software, nel quale vengono immessi una serie di dati così da giungere, attraverso l’automazione della procedura, alla decisione finale.
In linea generale – si legge al punto 7.1. della sentenza - va ribadito come anche la pubblica amministrazione debba poter sfruttare le rilevanti potenzialità della c.d. rivoluzione digitale.
In tale contesto, il ricorso ad algoritmi informatici per l’assunzione di decisioni che riguardano la sfera pubblica e privata si fonda sui paventati guadagni in termini di efficienza e neutralità.
In tale ottica lo stesso Codice dell’amministrazione digitale rappresenta un approdo decisivo in tale direzione. I diversi interventi di riforma dell’amministrazione susseguitisi nel corso degli ultimi decenni, fino alla legge n. 124 del 2015, sono indirizzati a tal fine; nella medesima direzione sono diretti gli impulsi che provengono dall’ordinamento comunitario.

Secondo l’Organo giurisdizionale la piena ammissibilità di tali strumenti risponde ai canoni di efficienza ed economicità dell’azione amministrativa (art. 1, L n. 241/1990), i quali, secondo il principio costituzionale di buon andamento dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.), impongono all’amministrazione il conseguimento dei propri fini con il minor dispendio di mezzi e risorse e attraverso lo snellimento e l’accelerazione dell’iter procedimentale.
In linea di principio, quindi, secondo il Consiglio di Stato l’utilizzo di una procedura informatica nell’ambito di un’attività di assegnazione di sedi in base a criteri oggettivi, che conduca direttamente alla decisione finale non deve essere stigmatizzata, ma anzi, in linea di massima, incoraggiata.
L’utilizzo di procedure informatizzate – si legge nella sentenza - non può essere motivo di elusione dei princìpi che conformano il nostro ordinamento e che regolano lo svolgersi dell’attività amministrativa.
In tale contesto, infatti, il ricorso all’algoritmo va correttamente inquadrato in termini di modulo organizzativo, di strumento procedimentale ed istruttorio, soggetto alle verifiche tipiche di ogni procedimento amministrativo, il quale resta il modus operandi della scelta autoritativa, da svolgersi sulla scorta delle legislazione attributiva del potere e delle finalità dalla stessa attribuite all’organo pubblico, titolare del potere.

Premessa la generale ammissibilità di tali strumenti, in tale contesto assumono rilievo fondamentale, anche alla luce della disciplina di origine sovranazionale, due aspetti preminenti, quali elementi di minima garanzia per ogni ipotesi di utilizzo di algoritmi in sede decisoria pubblica:
a) la piena conoscibilità a monte del modulo utilizzato e dei criteri applicati;
b) l’imputabilità della decisione all’organo titolare del potere, il quale deve poter svolgere la necessaria verifica di logicità e legittimità della scelta e degli esiti affidati all’algoritmo.
Riguardo il primo elemento assume rilievo preminente il principio della trasparenza, da intendersi sia per la stessa P.A. titolare del potere per il cui esercizio viene previsto il ricorso allo strumento dell’algoritmo, sia per i soggetti incisi e coinvolti dal potere stesso.
La conoscibilità dell’algoritmo deve essere garantita in tutti gli aspetti: dai suoi autori al procedimento usato per la sua elaborazione, al meccanismo di decisione, comprensivo delle priorità assegnate nella procedura valutativa e decisionale e dei dati selezionati come rilevanti. Ciò al fine di poter verificare che i criteri, i presupposti e gli esiti del procedimento robotizzato siano conformi alle prescrizioni e alle finalità stabilite dalla legge o dalla stessa amministrazione a monte di tale procedimento.
In relazione ai soggetti coinvolti si pone anche un problema di gestione dei relativi dati.
Ad oggi nelle attività di trattamento dei dati personali possono essere individuate due differenti tipologie di processi decisionali automatizzati: quelli che contemplano un coinvolgimento umano e quelli che, al contrario, affidano al solo algoritmo l'intero procedimento.
Tale aspetto è stato preso in considerazione dallo stesso Regolamento Europeo sulla protezione dei dati personali n. 2016/679 (GDPR) principalmente per arginare il rischio di trattamenti discriminatori per l'individuo che trovino la propria origine in una cieca fiducia nell'utilizzo degli algoritmi.
Lo stesso Consiglio di Stato sottolinea che gli articoli 13 e 14 del Regolamento stabiliscono che nell'informativa rivolta all'interessato venga data notizia dell'eventuale esecuzione di un processo decisionale automatizzato, sia che la raccolta dei dati venga effettuata direttamente presso l’interessato sia che venga compiuta in via indiretta.
Una garanzia di particolare rilievo viene riconosciuta allorché il processo sia interamente automatizzato essendo richiesto, almeno in simili ipotesi, che il titolare debba fornire “informazioni significative sulla logica utilizzata, nonché l'importanza e le conseguenze previste di tale trattamento per l’interessato”.
In questo senso, in dottrina è stato fatto notare come il legislatore europeo abbia inteso rafforzare il principio di trasparenza che trova centrale importanza all'interno del Regolamento.
Lo stesso articolo 22, paragrafo 1, del GDPR riconosce alla persona il diritto di non essere sottoposta a decisioni automatizzate prive di un coinvolgimento umano e che, allo stesso tempo, producano effetti giuridici o incidano in modo analogo sull'individuo. Quindi occorre sempre l’individuazione di un centro di imputazione e di responsabilità, che sia in grado di verificare la legittimità e logicità della decisione dettata dall’algoritmo.

In tema di imputabilità il Consiglio di Stato, al punto 14.3., richiama anche la Carta della Robotica, approvata nel febbraio del 2017 dal Parlamento Europeo laddove afferma che “l’autonomia di un robot può essere definita come la capacità di prendere decisioni e metterle in atto nel mondo esterno, indipendentemente da un controllo o un'influenza esterna; (…) tale autonomia è di natura puramente tecnologica e il suo livello dipende dal grado di complessità con cui è stata progettata l'interazione di un robot con l'ambiente; (…) nell'ipotesi in cui un robot possa prendere decisioni autonome, le norme tradizionali non sono sufficienti per attivare la responsabilità per i danni causati da un robot, in quanto non consentirebbero di determinare qual è il soggetto cui incombe la responsabilità del risarcimento né di esigere da tale soggetto la riparazione dei danni causati”.
Di conseguenza al fine di applicare le norme generali e tradizionali in tema di imputabilità e responsabilità, occorre garantire la riferibilità della decisione finale all’autorità ed all’organo competente in base alla legge attributiva del potere.

I tre principi fondamentali fissati dal Consiglio di Stato

Alla luce, quindi, delle suesposte considerazioni il Consiglio di Stato rileva che bisogna tenere in debita considerazione nell’esame e nell’utilizzo degli strumenti informatici tre principi fondamentali. In primo luogo, il principio di conoscibilità, per cui ognuno ha diritto a conoscere l’esistenza di processi decisionali automatizzati che lo riguardino ed in questo caso a ricevere informazioni significative sulla logica utilizzata.
Il secondo principio è definibile come il principio di non esclusività della decisione algoritmica. Nel caso in cui una decisione automatizzata “produca effetti giuridici che riguardano o che incidano significativamente su una persona”, questa ha diritto a che tale decisione non sia basata unicamente su tale processo automatizzato.
Il terzo principio è quello della non discriminazione algoritmica, secondo cui è opportuno che il titolare del trattamento utilizzi procedure matematiche o statistiche appropriate per la profilazione, mettendo in atto misure tecniche e organizzative adeguate al fine di garantire, in particolare, che siano rettificati i fattori che comportano inesattezze dei dati e sia minimizzato il rischio di errori.

Nel caso di specie sostiene il Consiglio di Stato l’algoritmo non risulta essere stato utilizzato in termini conformi ai principi predetti per cui non può essere ritenuto legittimo. In particolare l’amministrazione, nel presente contenzioso, si è limitata a postulare una coincidenza fra la legalità e le operazioni algoritmiche che deve invece essere sempre provata ed illustrata sul piano tecnico. Infatti, l’impossibilità di comprendere le modalità con le quali, attraverso il citato algoritmo, siano stati assegnati i posti disponibili, costituisce di per sé un vizio tale da inficiare la procedura.

Si riporta il testo della Sentenza:
. CONSIGLIO DI STATO - Sezione sesta - Sentenza 13 dicembre 2019, n. 8472.




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Pubblicato su: 2010-06-25 (3968 letture)

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