CINOTECNICA – ALLEVAMENTO DI CANI - NATURA DI ATTIVITA’ AGRICOLA
ALLEVAMENTO DI CANI - CINOTECNICA - ATTIVITA' AGRICOLA
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1. L’ampliamento della nozione di imprenditore agricolo e di impresa agricola
"E' imprenditore agricolo chi esercita un'attività diretta alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, all'allevamento del bestiame ed attività connesse.
Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l'utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge".
Questo il dettato dell'art. 2135 del Codice civile, così come da ultimo sostituito dall’art. 1 del D. Lgs. 18 maggio 2001, n. 228 (Orientamento e modernizzazione del settore agricolo, a norma dell'articolo 7 della legge 5 marzo 2001, n. 57).
E’, dunque, imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, silvicoltura, allevamento di animali (non più solo bestiame) e attività ad esse connesse.
Viene, poi, precisato che le attività agricole principali devono essere dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci o marine.
Con la nuova definizione di imprenditore agricolo il legislatore ha, dunque, inteso ricomprendere nell’area dell’impresa agricola ogni attività basata sullo svolgimento di un intero ciclo biologico ovvero di un fase essenziale del ciclo stesso.
Ciò ha portato ad una esplicita estensione della disciplina dell’impresa agricola a quelle particolari attività (quali l’apicoltura, l’allevamento di maiali per l’ingrasso e non per la riproduzione, l’allevamento di cani, ecc.) che in passato erano state ricondotte alla fattispecie dell’impresa agricola solo in via interpretativa.
2. La disciplina fiscale del reddito di allevamento
Sotto il profilo fiscale, l'articolo 32, comma 2, lett. b), del D.P.R. n. 917/1986 considera l'allevamento di animali attività agricola e, come tale, assoggettata a tassazione nell'ambito del reddito agrario, solo quando gli animali sono nutriti con mangimi ottenibili per almeno un quarto dal fondo su cui è svolta l'attività.
Tale norma fa, quindi, riferimento all'astratta potenzialità del terreno di produrre mangimi per gli animali allevati e non al concreto utilizzo dei prodotti del proprio fondo per nutrire gli stessi animali.
Il limite massimo di numero di capi che consente di rientrare nel regime del reddito agrario è stabilito per ciascuna specie animale da un decreto del ministro dell’Economia e delle Finanze emanato di concerto con il ministro delle Politiche agricole e forestali, in considerazione della potenzialità produttiva dei terreni e delle unità foraggere occorrenti per ciascuna specie allevata.
Pertanto, nel definire l'esercizio delle attività agricole, la norma di cui sopra pone alcuni limiti, il superamento dei quali influenza la natura del reddito prodotto, che, limitatamente alla quota imputabile all'attività eccedente, assume la qualifica di reddito d'impresa.
Tornando al reddito derivante dall'attività di allevamento, va chiarito che, con appositi decreti ministeriali, sono definite annualmente le quantità di mangimi producibili dai terreni in base alla loro fascia produttiva e le quantità di mangimi necessarie per nutrire i capi di ciascuna specie allevata. Dall'analisi di queste variabili è possibile calcolare se i capi allevati rientrano nel reddito agrario del terreno.
Quando vengono allevati animali in numero superiore alla soglia fissata dal citato decreto, il reddito che ne deriva è determinato ai sensi dell'articolo 56, comma 5, dello stesso D.P.R. n. 917/1986, con un metodo forfetario.
Per le attività dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, valorizzazione e commercializzazione di prodotti diversi da quelli indicati in un apposito decreto, il relativo reddito è determinato ai sensi dell'articolo 56-bis del TUIR, rubricato "altre attività agricole", con il metodo ordinario, mediante l'applicazione del coefficiente di redditività del 15 per cento.
3. L’allevamento di cani di razza
La norma dettata nell’articolo 2135 C.C. ha, in passato, posto non pochi problemi di carattere interpretativo ai fini dell'assimilazione della figura dell'allevatore di cani di razza a quella dell'imprenditore agricolo.
A rendere difficoltosa l'attribuzione dello "status" di imprenditore agricolo a chi, in possesso di un certo numero di fattrici, faceva cucciolate, era il fatto che non essendo i cani destinati all'alimentazione, la relativa attività di produzione poteva definirsi industriale più che agricola.
Finalmente con la Legge 23 agosto 1993 n. 349 è stata fatta chiarezza in materia.
E' intuitivo che i destinatari della nuova disciplina non sono i cinofili che producono la cucciolata occasionale con la cagna "di casa", ma quelli che dall'allevamento ricavano utili di una certa consistenza.
La normativa in esame si apre con una precisazione che introduce un'innovazione: con l'espressione "attività cinotecnica" ci si riferisce all'allevamento, ma anche alla selezione ed all'addestramento dei cani di razza.
Il punto centrale dell'intera disciplina deve, però, certamente considerarsi l'art. 2, il quale afferma che "L'attività cinotecnica è considerata a tutti gli effetti attività imprenditoriale agricola quando i redditi che ne derivano sono prevalenti rispetto a quelli di altre attività economiche non agricole svolte dallo stesso soggetto. I soggetti, persone fisiche o giuridiche, singoli o associati, che esercitano l'attività cinotecnica di cui al comma 1 sono imprenditori agricoli ai sensi dell'articolo 2135 del Codice civile.
Non sono comunque imprenditori agricoli gli allevatori che producono nell'arco di un anno un numero di cani inferiore a quello determinato, per tipi o per razze, con decreto del Ministro dell'agricoltura e delle foreste da emanare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge".
Il decreto cui il legislatore fa riferimento è stato emanato il 28 gennaio 1994 e comprende un unico articolo, che recita testualmente: "Non sono imprenditori agricoli gli allevatori che tengono in allevamento un numero inferiore a 5 fattrici e che annualmente producono un numero di cuccioli inferiore alle trenta unità".
Dunque, ai sensi dell'art. 2, pertanto l'attività cinotecnica è considerata attività imprenditoriale agricola, quando i redditi che da essa derivano risultano prevalenti rispetto a quelli di eventuali altre attività (non agricole) svolte dal soggetto e purché quest'ultimo sia proprietario di almeno cinque fattrici e non scenda al di sotto dei trenta cuccioli l'anno.
Il successivo articolo 3 della L. n. 349/1993, infine, pone in capo ad allevatori ed addestratori, l'obbligo di rispettare le disposizioni emanate dalle Regioni e - per quanto attiene alla selezione delle razze - le disposizioni dell'ENCI (Ente Nazionale della Cinofilia Italiana).
Proprio in virtù delle suddette disposizioni legislative, la giurisprudenza ha riconosciuto la compatibilità urbanistica della localizzazione in zona agricola di strutture destinate al ricovero per cani e riconducibili nella generale categoria dell’attività cinotecnica come definita dalla L. n. 349/1993 (Cfr. TAR Trentino Alto Adige, sez. Trento, 17 febbraio 1994, n. 27, e TAR Abruzzo, sez. L’Aquila, 4 giugno 2004, n. 745).
4. Regime a scelta per l’allevamento dei cani
L’allevamento di cani ha natura di attività agricola anche per le imposte dirette.
Infatti, l’inserimento di tale categoria di animali nel D.M 20 aprile 2006 (che ha effetto nel biennio 2005 – 2006), comporta l’inclusione nel reddito agrario anche dell’allevamento canino, in presenza di impresa che possieda il terreno sufficiente a produrre almeno un quarto del mangime necessario.
Il D.M. 20 aprile 2006, emanato ai sensi dell’art. 56, comma 5 del TUIR, stabilisce il numero di animali rientranti nel reddito agrario nonché il reddito forfetario applicabile agli animali allevati in eccedenza dalle persone fisiche, dalle società semplici ed enti non commerciali.
L’attività di allevamento svolta dalle persone fisiche, dalle società semplici ed enti non commerciali, può rientrare nel reddito agrario se l’azienda dispone del terreno sufficiente a produrre almeno un quarto dei mangimi necessari, oppure nel reddito d’impresa, ma calcolato con appositi coefficienti, se il terreno è insufficiente (regime facoltativo).
In assenza di terreno il reddito viene sempre determinato in base alla differenza fra costi e ricavi.
Le nuove tabelle contenute nel D.M. 20 aprile 2006 stabiliscono che per l’allevamento di cani occorre un ettaro di terreni di prima fascia per allevare 87,48 animali (21,87 x 4).
Per ogni cane allevato in eccedenza il reddito è pari al 7,02 euro, il cui importo viene raddoppiato se l’impresa di allevamento è una ditta individuale senza manodopera dipendente e senza che sia stata enunciata l’impresa familiare.
La tabella ministeriale non distingue tra cani da riproduzione e cani da allevamento, per cui si applicano i medesimi parametri per entrambe le categorie.
Le imprese di allevamento eccedenti devono tenere un registro di carico e scarico degli animali allevati.
5. Ulteriori chiarimenti dell'Agenzia delle Entrate
L'Agenzia delle Entrate, con la Circolare n. 19 del 13 giugno 2006, ha chiarito che, a fini delle imposte dirette, l'attività di allevamento di cani rientra nel reddito agrario. Infatti, per effetto dell'inserimento di questa categoria di animali nel D.M. 20 aprile 2006, a decorrere dal periodi di imposta 2005, il reddito derivante dall'allevamento dei cani, in presenza di impresa che possieda il terreno sufficiente a ripodurre almeno un quarto del mangime necessario, è incluso nel reddito agrario.
Il testo della ciroclare viene riportato nell'Appendice normativa.
La Circolare ricorda anche che nel computo dei cani allevati si devono conteggiare anche i cuccioli dal momento della nascita, diversamente da quanto previsto per gli altri animali.
Non vengono, invece, fornite indicazioni in merito alla tenuta del registro cronologico di carico e scarico degli animali allevati (previsto dall'art. 18-bis del D.P.R. n. 600/1973), scrittura propedeutica alla determinzione forfettaria del reddito, ma che per l'anno 2005 non può essere stata tenuta in quanto gli allevatori di cani non sapevano di rientrare nell'attività di allevamento ai fini delle imposte dirette.
6. REDDITO DERIVANTE DA ALLEVAMENTO DI ANIMALI - Confermati anche per il biennio 2014 - 2015 gli stessi parametri fissati dal decreto del 2006
Per determinare la natura dei proventi derivanti dall'allevamento di animali, i quali possono essere considerati come reddito agrario o come reddito d'impresa, sono stati confermati, anche per il biennio 2014 – 2015, gli stessi parametri stabiliti nell'omologo decreto del 20 aprile 2006 e alle allegate tabelle 1, 2 e 3 (riferimento per la determinazione sia del numero dei capi allevabili entro il limite dell'articolo 32 del TUIR, sia dell'imponibile da attribuire a ciascun capo eccedente tale limite).
Lo ha stabilito il Ministero dell’Economia e delle Finanze, di concerto con il Ministero delle Politiche Agricole, con il decreto direttoriale 18 dicembre 2014, pubblicato, sulla Gazzetta Ufficiale n. 4 del 7 gennaio 2015.
Ricordiamo che, ai sensi dell’art. 32, comma 2, lettera b), TUIR, l’attività di allevamento, esercitata da persone fisiche, produce reddito agrario se svolta “con mangimi ottenibili per almeno un quarto dal terreno”.
L'art. 56, comma 5 dello stesso decreto, prevede che la parte eccedente tale limite concorre a formare reddito d'impresa nell’ammontare determinato attribuendo a ciascun capo un reddito pari al valore medio del reddito agrario riferibile a ciascun capo allevato entro il limite medesimo, moltiplicato per un coefficiente idoneo a tener conto delle diverse incidenze dei costi.
Il valore medio e il coefficiente sono stabiliti ogni due anni con decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze, di concerto con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali.
. Se vuoi scaricare il testo del nuovo decreto, clicca QUI.
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